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Intervista a Giulia Baccarin, fondatrice dell'acceleratore MIPU, start up innovativa che già supera i 5 milioni di euro e favorisce le donne.

Una donna ingegnere, imprenditrice di successo, capace di lanciare una start up di successo in mondo prevalentemente maschile. Nel suo acceleratore Giulia Baccarin segue con grande passione e impegno le start up di donne e uomini e presta anche particolare attenzione alle start up delle donne. Ha vinto il premio GammaDonna 2016.

1. Chi è Giulia Baccarin? Aiutaci a conoscerti

Ho 35 anni, sono nata a Dueville in provincia di Vicenza. Sono laureata in Ingegneria Biomedica al Politecnico di Milano. La mia tesi di laurea consisteva in uno strumento hardware e software in grado di prevedere la caduta negli anziani, il fattore primario che induce a ridotta mobilità e in ultima analisi all’indebolimento e alla morte.

Finita l’università, ho cercato subito un lavoro. Non mi ha sorpreso che il profilo d’ingegnere biomedico progettista di robot e arti artificiali non fosse molto frequente negli annunci del Giornale di Vicenza. Ho cominciato a lavorare nel 2007 vincendo una borsa di studio per un programma dell’Unione Europea. Abbiamo studiato a Science Po a Parigi, alla Scuola di Lingue Africane e Orientali di Londra – dove si formano gli ambasciatori prima di andare in Asia o in Africa – alla SDA Bocconi e finalmente all’Università Waseda di Tokyo.

In Giappone sono rimasta a lungo: prima per studiare e poi per lavorare. Una tra le esperienze più belle è stata quella di consulente nel dipartimento di analitiche predittive per un’azienda di marketing. Studiavamo quali sarebbero stati i comportamenti d’acquisto dei consumatori nel futuro, per esempio quale colore sarebbe stato maggiormente acquistato nell’estate successiva. Li vendevamo poi a tutte le più grandi case di moda, che disegnavano la loro collezione sulla base dei nostri risultati. Così, se decidevamo che il colore per l’uomo 2017 sarebbe stato il rosso, le collezioni delle più grandi maison prevedevano un uomo in rosso. Mi sono sempre chiesta se i nostri algoritmi fossero davvero in grado di prevedere il futuro o se, piuttosto, i poveri uomini giapponesi non finissero per comprare il rosso perché in negozio si trovava solo quello.

Giulia Baccarin e il suo team

Alla fine un ragazzo del Belgio mi chiese se non volessi unirmi a lui e a un altro socio per fondare la sede italiana di una grande azienda Belga che si occupava di manutenzione predittiva. Senza ben capire cosa fosse, lasciai il Giappone per volare in Belgio e scoprire che la grande azienda si riduceva a un ufficio di 15 mq dove si stipavano 7 ingegneri, un laboratorio per l'analisi industriale degli oli e un cane. Sono stati anni veramente difficili. Nel secondo anno di I-care, così si chiama la nostra azienda, mi è stato rifiutato un prestito dalla banca che riteneva rischioso anticipare del denaro a una donna di 27 anni, che avrebbe potuto - a loro dire - incorrere in una gravidanza e lasciare il mondo del lavoro.

Nonostante le difficoltà, I-care è oggi un’azienda da 150 dipendenti in nove Paesi del mondo.

Nel 2012 con Giovanni Presti, che conoscevo già da tempo, ho fondato MIPU, un acceleratore focalizzato sulle analitiche predittive e sulla data science, in cui è promossa la parità di genere soprattutto nei ruoli chiave dell'azienda. Con MIPU vogliamo dimostrare che è possibile creare aziende innovative e tecnologiche in Italia e non solo nelle grandi città, ma anche nei piccoli paesi. Vogliamo dare supporto a tutti quei giovani, soprattutto donne, che vogliono costruire qualcosa nel nostro Paese, combattendo quella mentalità per cui, se sei brava o bravo, devi andare all'estero per realizzarti.

2. Avete avuto per MIPU finanziamenti sufficienti per crearla e svilupparla? Come e dove li avete trovati?

Abbiamo finanziato MIPU solo con i proventi del nostro lavoro. Riscontriamo gravi mancanze sia da parte del mondo bancario sia dei fondi pubblici. Siamo spesso stati scartati dalla possibilità di accesso ai bandi pubblici, perché la nostra attività è meno facile da comprendere rispetto ad aziende produttive o servizi più noti. Tuttavia oggi MIPU conta tre aziende e tre startup in fase di avvio, per un fatturato di circa 5 milioni. Cresciamo in media del 20% ogni anno, anche nei mercati esteri.

3. A che punto è lo sviluppo dell’acceleratore? Avete bisogno di altri finanziamenti, di altro personale per fare il prossimo passo?

Stiamo cercando personale specializzato con e senza esperienza. Noi pensiamo che con il giusto team tutto il resto sia possibile; abbiamo diverse posizioni aperte per Data Scientists, Ingegneri Meccanici/Energetici/Gestionali, Sales Managers, Mentori. Cerchiamo persone che vogliano fare la differenza e che si uniscano a noi per creare un futuro tecnologico per il nostro Paese.

4. Dal momento in cui selezionate la start up alla sua immissione sul mercato, quanto tempo in genere è necessario e quanto tempo la start up rimane presso il vostro acceleratore?

MIPU non ha programmi di accelerazione predefiniti. Le idee nascono soprattutto tra le persone che lavorano con noi e ai nostri intra-preneurs è lasciato il tempo per pensare a nuovi progetti. Raccogliamo persone da tutto il mondo che ospitiamo nella Mipu Garden House, la nostra foresteria aziendale.

MIPU aiuta donne e uomini intra-preneurs in tale percorso, trasformando l'idea in un'azienda che va sul mercato. Questo richiede di solito da uno a due anni.

5. Una donna che voglia avviare una start up, a parte il fatto di credere nella propria idea e in quella di voler diventare una startupper, in quali errori non dovrebbe assolutamente cadere?

Riprendo volentieri i consigli di Sheryl Sandberg, autrice del libro "Facciamoci avanti" e numero uno di Facebook. Il consiglio che lei dà, e che condivido, è: Sediamoci ai tavoli che contano.

Le donne sistematicamente sottostimano le loro capacità. Se mettete alla prova uomini e donne, e fate loro domande su criteri totalmente oggettivi come la media dei voti, gli uomini fanno errori sovrastimandola e le donne sbagliano sottostimandola. Le donne, inoltre, non negoziano per se stesse sul lavoro.

E ancora più importante, gli uomini, molto spesso, attribuiscono il proprio successo a se stessi, mentre le donne, in genere, lo attribuiscono a fattori esterni. Se chiedi a un uomo come mai ha fatto un buon lavoro, ti risponderà: "Perché sono un grande", ovviamente. Se chiedi a una donna come mai ha fatto un buon lavoro, ti risponderà che è stata aiutata, che ha avuto fortuna, che ha lavorato duro. E perché tutto questo è rilevante?

Perché conta e come! Nessuno siede in un angolo dell’ufficio mettendosi da una parte, anziché al tavolo. A nessuno arriva una promozione se non crede di meritare il proprio successo o se nemmeno capisce il suo successo. Nessuno mette in piedi una grande azienda, se non negozia, tiene duro e soprattutto non si sente meritevole di essere a capo di una grande azienda. L'acceleratore MIPUIcare

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